Il volto
indica l’altro come altro da me, come un tu che chiede di essere riconosciuto in
quanto persona, in uno scambio da pari a pari, col diritto di essere rispettato nella sua
dignità, senza venire ridotto a oggetto.
La persona infatti è assolutamente diversa da
un oggetto: un oggetto si studia, una persona si incontra; un oggetto si conosce e si può
utilizzare per le proprie esigenze, una persona mi si rivela e mi interpella a un dialogo
da pari a pari; un oggetto «sta lì», una persona porta in sé una storia e si progetta.
Posso comprendere lo straordinario valore di ogni
persona se guardo a me stesso: io mi avverto come unico, nessuno vivrà per me la mia
vita; anche in mezzo a tanti altri, io so di essere irripetibile.
Lo stupore che provo per
me rimanda allo stupore che devo provare per ogni altro. (... ama il prossimo tuo come te stesso.... l'accento non è sul prossimo, ma sul termine di paragone, su cui si fonda l'analogia..... io, mi amo? mi stupisco di me? mi "percepisco"?)
Al cospetto della persona non si
finisce mai di sorprendersi.
La sua realtà appare come l’esistenza di un essere
originale; il suo volto non è la copia di un altro; è assolutamente esclusivo.
Scrive A.
Heschel: «Non è forse un miracolo straordinario che tra tante centinaia di milioni di
volti non ve ne siano due uguali?» (Chi è l’uomo?, pag. 59).
La diversità dei volti è l’espressione visibile
dell’unicità interiore di ogni essere umano; è per questo che ogni persona
rivendica, giustamente, il diritto ad essere identificata e chiamata con il suo nome.
(estratto da: La tenerezza di Pedron Lino