Riflessioni stra-personali sul mio cammino di conversione. Nessuno nasce imparato, io no di certo. Quindi pregando, camminando, ascoltando, leggendo, meditando, osservando, cerco di imparare. Anzi: cerco di disimparare me ed il mondo, per abbandonarmi alla meraviglia dell'invisibile.
martedì 20 dicembre 2016
Il nemico - Michael O’Brien (estratto)
Estraggo un dialogo lancinante, ma vero: solo nel nostro nulla, Dio può iniziare ad agire.
“Elia si alzò e mangiò e bevve.
- Perché mi hai abbandonato? – disse con voce roca.
- Non ti ho abbandonato –
- Ero solo –
- Non eri solo –
- Avevo paura –
- Avevi grande paura, dove non c’è paura –
- Perché non mi hai protetto? –
- Il luogo più buio è quello in cui ti darò più luce-
- Avresti potuto fermarlo –
- Se lo avessi fermato, non ci sarebbe stato raccolto –
- Non capisco nulla –
- E’ vero. Non capisci nulla –
- Sei il Signore? –
- Sono un servo come te –
- Chi sei? –
- Chi è come Dio? Nessuno è come Dio! –
- Chi sei? –
- Chi è come Dio? Nessuno è come Dio!- questo è il mio nome –
- Sono sfinito. Lasciami qui. Voglio morire –
- Sei esausto. Tanto tempo fa hai accettato questo incarico e questo fardello. Hai dimenticato? –
- Non ricordo –
- La tua anima ricorda. Nella tua anima c’è il segno del tuo patto –
- Non so nulla –
- Non sai nulla, ma hai obbedito –
- Voglio morire –
- Ora possiamo iniziare –”
mercoledì 14 dicembre 2016
Aleksandr Isaevič Solženicyn
Più di mezzo secolo fa, quando ancora ero un bambino, ricordo che un certo numero di anziani offriva questa spiegazione per i disastri che avevano devastato la Russia: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto". Da quel giorno, ho passato 50 anni a lavorare sulla storia della nostra rivoluzione (la rivoluzione russa); ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali. Ma se mi fosse domandato di formulare in maniera più concisa possibile la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi, non potrei metterla in maniera più accurata che ripetendo: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto."
La
semplice libertà non risolve tutti i problemi della vita umana e anzi ne
aggiunge un gran numero di nuovi.
Nelle
democrazie giovani, come nella democrazia americana al momento della sua
nascita, tutti i diritti umani individuali sono stati concessi considerando che l'uomo è creatura di Dio. La libertà era per l'individuo data in modo condizionato al presupposto della sua responsabilità religiosa costante.
Questo era il patrimonio dei mille anni precedenti.
.....
Se, come
sostiene l’umanesimo, l’uomo è nato solo per essere felice, egli non é nato per
morire. Poiché il suo corpo è condannata a morte, il suo compito sulla terra
evidentemente deve essere più spirituale: non una totale accaparramento di beni
nella vita quotidiana, non la ricerca di modi migliori per ottenere beni
materiali e quindi non la spensieratezza con il loro consumo. La vita deve
invece essere il compimento di una riflessione costante e seria in modo che il
nostro viaggio nel tempo possa essere soprattutto un'esperienza di crescita
morale, per diventare esseri umani migliori. Questo é indispensabile per
rivalutare la scala dei valori umani normali; la loro attuale assenza è
sbalorditiva
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Gli unici sostituti di una esperienza che non abbiamo mai vissuto in prima persona sono l’arte e la letteratura
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martedì 13 dicembre 2016
Umiliazioni e umiltà - Isacco il Siro
Quando
la Grazia ha confermato l’intelligenza dell’uomo attraverso la fiducia in Dio,
allora, da quel momento, comincia ad introdurla, a poco a poco, nelle
tentazioni e lascia che le siano inviate quelle tentazioni il cui grado di
difficoltà essa è in grado di sopportare.
E
in ogni tentazione essa riceve, sensibilmente, l’aiuto necessario perché sia
consolata; affinchè, a poco a poco, si eserciti, acquisisca la sapienza
(esperienza di una relazione) e disprezzi i suoi nemici per mezzo della fiducia
in Dio.
Infatti,
senza di esse, l’uomo non può diventare esperto nelle battaglie spirituali, né conoscere
la provvidenza di Dio, né sperimentare il suo Dio, né essere segretamente
confermato nella sua fede da quella potenza che in se stesso riceve tramite la
tentazione.
Quando,
infatti, vede che in lui incomincia a muoversi un po’ il pensiero della
presunzione ed incomincia a pensare grandi cose di sé stesso, la Grazia lascia
che le tentazioni si rinforzino e si irrobustiscano contro di lui, perché egli
conosca la sua debolezza e fugga e si rifugi in Dio, nell’umiltà.
Attraverso
ciò egli giunge alla misura dell’uomo
perfetto, nella fede e nella speranza nel Figlio di Dio; e presso di lui
egli è innalzato nell’amore.
Infatti,
in modo mirabile, quando l’uomo si trova in mezzo a quelle circostanze piene di
disperazione, allora in lui di fa conoscere l’aiuto di Dio. E allora Dio mostra
la sua potenza attraverso la salvezza dalle tentazioni.
Nessuno
impara nella pienezza la potenza di dio nel riposo e nel sollievo.
L’anima
che un tempo, nella fede, ha consegnato il suo essere a Dio e, in mezzo a molte
tentazioni, ha ricevuto il gusto del suo aiuto, non pensa più a sé stessa, ma è
stretta nel silenzio e nello stupore.
Sono le situazioni della
vita che mettono l’uomo, affetto dalla philautia, di fronte alla propria
debolezza, all’umiliazione, all’impotenza. Tutto questo, però, non è
considerato solo dal lato negativo, ma come un’occasione di grazia, un luogo di
salvezza da cui si può finalmente passare dall’umiliazione all’umiltà.
Ed è lo stupore dell’essere
avvolti dal mistero di Dio che permette di abbattere le ultime resistenze interiori,
che prendono come scusa l’esistenza dei peccati per non consegnarsi
completamente a Dio. Tra la coscienza, che come cattiva padrona, esercita la
sua attività di rimorso dei peccati, e il mistero di Dio accogliente, prevale
quest’ultimo, perché Dio è più grande del
nostro cuore.
Come
le onde del mare si abbatte sul mio pensiero il diluvio dei misteri del Cristo;
e io, mio Signore, ho voluto tacere di
essi e non parlare. Ma erano nel mio cuore come fuoco che arde e s’infiamma
nelle mie ossa. La mia intelligenza mi rimprovera e mi mostra i miei
peccati; ma il tuo mistero mi stupisce, mi costringe a guardarlo e nel silenzio
mi fa segno, dicendo: Non esitare ad avvicinarti per timore dei tuoi peccati, o
peccatore, perché è per mezzo di questa meditazione che è scacciato dal tuo
pensiero il fango del tuo peccato.
Acconsentire a questa dolorosa pedagogia di Dio è
dunque necessariamente accettare di andare nello stesso senso, cioè non fuggire
davanti all’umiliazione inflitta dalla tentazione, ma – in un certo senso –
abbracciarla. Gli autori antichi insistono su questa ricerca della grazia fino
a questo punto, perché è nell’umiliazione accettata e spiritualmente “assimilata”
che la salvezza ci attende.
Ma non solo la tentazione è luogo di umiltà, anche il
peccato può diventare “passaggio” di salvezza: può darsi, infatti, che la
tentazione più infida non sia quella che precede il peccato, ma quella che lo segue.
La tentazione della disperazione. E’ l’umiltà finalmente imparata che
permetterà, ancora una volta, di sfuggire a questa tentazione.
(estratto dal libro :" Chi è l'uomo, Signore? Viaggio alla scoperta del cuore" di Carmelo Torcivia
pagg. 110/113)
martedì 6 dicembre 2016
Maurizio Blondet, a un passo dalla morte
…. Per intanto io sono
ancora qui, e in un particolare stato d'animo. Dalla diagnosi all'operazione e
al seguito patologico, devo una delle più importanti esperienze umane e
spirituali, e ringrazio ogni giorno il Signore di avermela donata.
L'esperienza della morte
prossima.
Prima, da sano, dubitavo
di come avrei affrontato la morte: con disperazione, scoramento, viltà? Questo
dubbio dava un brutto colore anche alla vita - tutte le cose belle, le si dovrà
lasciare - e soprattutto, la silenziosa protesta contro questo destino umano,
ahimè consapevole dalla sua brevità. Invidiavo gli animali che, almeno, non
sanno.
Ero cristiano di forma, ma
con questa protesta tacita: se siamo messi qui come prova, per soffrire, per
portare la croce - perché ci giochiamo una vera vita di cui non sappiamo nulla,
se non che comporta il pericolo estremo ed eterno della dannazione - che senso
ha? Non è crudeltà pura? Mi astenevo dall'arrivare a questa conclusione: Dio
sa.
Ma ciò copriva di una
cenere di accidia, di una triste indolenza uno come me - che si avvicina ai
settanta, alla fine inevitabile. Invece, nella malattia incurabile, nei ricoveri
e nelle chirurgie, ho scoperto che «ce la posso fare», che quando arriva la
croce e la sofferenza, «ci si riesce»: non per merito personale, ma per l'aiuto
di Cristo che «fa tutto Lui».
Anche per un peccatore incallito,
in quei momenti è lì, con la Misericordia che non viene meno Lui che ha già
vinto, che ha superato il passaggio da cui tutti dobbiamo passare, «fa tutto».
Basta aggrapparsi stretti a Lui, stringersi al suo Cuore raggiante, ed Egli
opera in noi.
Siatene certi e allegri,
accadrà anche a voi, cari lettori.
Con Cristo, non c'è
sconfitta, non si perde mai - se non si vuole.
Il grande progetto di
salvazione che consiste nel far passare la nostra animalità, i nostri corpi,
nella Vita, richiede la negazione dell'istinto di sopravvivenza biologico -
«Non c'è amore più grande di chi dà la propria vita per gli amici», «Pregate
per coloro che vi perseguitano», «perdonate», sembrano cose impossibili - e lo
sono: ma con Cristo e aggrappati al suo cuore, «si può».
Di quei giorni ricordo
l'intensità della preghiera. I Rosarii sgranati deambulando nei vasti corridoi
dell'ospedale, che riempivano le giornate vuote e sgorgavano con facilità.
Al sesto piano dov'ero,
guardavo giù nel vasto spazio verde attorno all'ospedale. Era primavera. Degli
operai stavano peparando una pista per elicotteri con la H in centro. Ma di
lato, c'era un boschetto - tre o quattro alberi - che giorno dopo giorno vidi
riempirsi di foglioline, di un tenero verde. Quella chioma leggera e
trasparente vibrava e fremeva nel vento, la natura sempre ritornante e sempre
innocente, incontaminata, in quell'angolo di Milano. Non pensavo più: ecco una
cosa bella che dovrò lasciare. Ringraziavo invece per ogni foglia e ogni
fremito, contento di vedere un'altra volta il «bel colpo magistrale del
Creatore», certo che la Vita che ci attende se vogliamo è ancor meglio,
infinitamente meglio - una Vita che è Gloria, che è Vittoria, e dove non ci
mancherà nulla di quello che qui è bello.
Le esperienze umane della
comune sofferenza nello stanzone ospedaliero, la semplicità e verità dei
ricoverati, le loro sofferenze e i racconti delle loro sofferenze, è stata
un'altra scoperta. Nella sala d'aspetto c'erano ovviamente i soliti settimanali
femminili, con modelle in copertina: non riuscivo più a guardarle tanto mi
sembravano false, e tanto veri invece i corpi imbruttiti, piegati, feriti dei
miei compagni malati, il cui fiato s'interrompeva spesso di notte - finchè una macchina
non gli forzava l'aria in gola. Vorrei aver mantenuto questo stato d'animo:
l'occhio capace di vedere la verità.
Invece, col miglioramento,
la zoologia riprende il sopravvento. Tornano a sembrarmi vere le modelle da
copertina, e malinconico il destino della croce. Salto i Rosarii, la preghiera
non sgorga più, né l'amore per il vicino.
Ma soprattutto: ero pronto
a morire, o almeno così mi pare.
Perché Gesù mi ha lasciato
qui ancora: devo far meglio? Non ero ancora pronto? Mi sento un po' come uno
che vive in libertà condizionale, in attesa del processo d'appello. O il
condannato di un carcere americano che ha avuto una sospensione della pena
capitale. Come dare significato a questo tempo «en sursis», come dicono i
francesi? Per un anno intero il mio vero «lavoro» è stato quello di curarmi. La
flebo quotidiana ha condizionato ogni giorno della mia vita, come i pasti
vegetali, i medicinali da prendere ad ore fisse. Anche la mente e il cuore
erano assorbiti e impegnati. Adesso, d'accordo col mio medico ascorbico, interromperò
almeno per l'estate. Sono libero. Ma per quanto? E soprattutto, perché? Scopro
che questo atteggiamento è comune frai sopravvissuti. Il National Cancer
Institute ha postato anche un opuscolo che dà consigli ai «survivors» su come
«tornare in sintonia con se stessi». Ricorda che il cancro, secondo molti che
ne sono stati colpiti, è stata «un'opportunità di crescita, un'esperienza che
li ha portati a fare cambiamenti importanti nella loro vita. Molti oggi sanno
apprezzare ogni nuovo giorno.». (Facing Forward: Life After Cancer Treatment)
Aleksandr Solgenitsin fu
sbattuto fuori dal Gulag perché malato terminale di cancro gastrico: «Vai a
morire a casa». Lo stesso giorno, in treno, udì la notizia che Stalin era
morto. Tornato a casa, cancro e dolori erano scomparsi. Egli ha sempre pensato
che Dio gli aveva regalato quegli anni di vita per adempiere ad un compito,
rivelare l'innominabile segreto del regime, l'Arcipelago Gulag, la dantesca
bolgia piena di anime sofferenti incontrate, e di tutte narrare la storia - per
quanto la prodigiosa memoria gli consentiva. Ma Solgenitsin è stato un titano,
pari al compito titanico. Io non trovo, confesso, un compito. Continuare
questo, scrivere? Non sono sicuro che sia quello che mi viene richiesto ora.
Non ho più molto interesse per ciò che prima mi infiammava alla polemica. Che
mi resta da fare, Gesù?
tratto da:Pena sospesa - Effedieffe
martedì 15 novembre 2016
Mio Dio - S. Pier Damiani
Ti adoro, ti onoro, ti glorifico, ti lodo,
benedetto, onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo,
unico Dio in tre persone.
Aiutami, assolvimi, purificami, mondami, mio re e mio Dio.
Donami la giustizia, la fortezza, la prudenza, la temperanza.
Donami la fede perfetta, la speranza, la carità.
Concedimi lo spirito di sapienza, d’intelletto,
di consiglio, di fortezza, di scienza, di pietà e di timore.
Donami la benedizione del cielo
e l’abbondanza della terra.
Addolcisci, Signore, il mio cuore granitico.
Donami la compunzione e la contrizione sincera,
perché mi corregga dai miei numerosi peccati.
Signore, non sono degno d’entrare nella tua casa.
Sono indegno di levare gli occhi al cielo
di esprimere il tuo nome con le mie labbra:
ma tu sai come sono,
abbi pietà di me, Signore mio Dio.
(s. Pier Damiani)
Obbedienza della fede - di Hans Urs von Balthasar
(estratto da Chi è il cristiano?)
La libera obbedienza d’amore è il punto in cui le cose incomparabili si toccano fino ad identificarsi.
Da parte dell’uomo questa obbedienza d’amore porta il nome distintivo di fede.
Questa fede, in quanto atto dell’uomo, è un tentativo iniziale di consegnarsi (“credo, Signore, aiuta la mia incredulità”), che da parte del Signore viene raccolto benignamente nella sua propria obbedienza, nella forza del suo esempio e modello, anzi viene già suscitato nel primo tentativo, stimolato, sostenuto, portato a successo (gratia praeveniens et consequens).
Allo stesso modo che nel campo puramente umano la fiducia, la dedizione, il sì definitivo di una ragazza, può essere provocato e portato fino all’ultimo compimento dalla forza d’amore di un giovane.
Ora l’arrendersi umano, per quanto si creda illimitato, conserverà forse sempre in qualche punto dei limiti inconsci, ad esempio quando l’uomo a cui ci si è dati, si trasformi completamente in infedele, disamorato, malvagio, e un legame con lui non sia più oltre sopportabile.
Invece la fede in Cristo ha la sua prova esattamente nella completa sconfinatezza della dedizione: poiché ogni infedeltà da parte di Cristo rimane esclusa, persino quando la sua fedeltà divenisse a noi invisibile nelle tenebre di un completo abbandono; poiché la fedeltà di Dio per essenza è senza fine e senza pentimento, anche l’atto di dedizione amorosa, obbediente, come risposta ed affidamento alla forza della grazia di Dio che lo permette e rende possibile, può essere incondizionato ed illimitato.
E’ l’atto che nella sua pienezza si chiama fede – amore - speranza: fede amorosa che tutto spera, od amore speranzoso che tutto crede, o speranza credente che ama tutto ciò che Dio vuole.
E’ l’atto che pone il nucleo fondamentale dell’essere cristiano, per modo che insperatamente abbiamo trovato la risposta alla nostra domanda: “Chi è il cristiano?”. Cristiano è l’uomo che ‘vive di fede’ (Rom. 1,17), che cioè ha regolato tutta la sua esistenza sull’unica possibilità apertagli da Gesù Cristo, il Figlio di Dio, obbediente per noi tutti fino alla croce: quella di partecipare al sì obbediente, che redime il mondo, detto a Dio.
Da parte di Cristo è l’atto di obbedienza per amore che fonda l’esistenza, poiché il Figlio di Dio non entra nell’esistenza ‘a modo di chi è gettato’, (geworfenerweise), ma ‘a modo di chi è inviato’ (gesendeterweise).
Il fatto che egli in genere esista, ed esista in tal modo, dice già manifestazione dell’amore di Dio Padre per noi, che ‘dà’ il suo Figlio per noi.
Nel Verbo c’è già l’idea di sacrificio ed in questo il consenso della vittima, dell’obbedienza. Nell’esistenza del Figlio obbediente risplende quindi chiarissimamente anche il mistero della Trinità divina.
Tuttavia il Figlio non obbedisce a se stesso, bensì ad un altro, ma per un amore eterno, che è il fondamento della possibilità di una simile obbedienza e nello stesso tempo l’unità di colui che comanda e di colui che obbedisce.
Infatti, se il Figlio fosse obbediente in ragione di una naturale subordinazione a Dio Padre, obbedendo, non farebbe che il suo dovere, e in ciò non apparirebbe l’amore di Dio assolutamente libero.
Ma se egli obbedisce senza motivo, cioè per puro amore, allora in colui che è dato appare l’amore infondato di colui che dà per noi peccatori, un amore così infondato che Paolo non esita a chiamarlo insensato.
E se, dopo il compimento del segno di amore che Dio inscrive nella storia umana, se, dopo la vita, morte e risurrezione della vittima, il comune Spirito del Padre e del Figlio sarà inviato come testimone perpetuo dell’evento nella Chiesa e nel mondo, allora questo Spirito non potrà mai essere ed attestare altro se non appunto l’amore infondato-insensato, di cui perciò gli uomini non potranno mai disporre e servirsi per le loro prudenti macchinazioni.
Infatti, ciò che dell’ essenza di questo amore appare nell’esistenza del Figlio è la rinuncia a disporre di sé. Soltanto questa rinuncia dà all’attuazione del suo mandato l’inaudita forza esplosiva. Egli ha rinunciato ad ogni prudenza, ha lasciato l’intera provvidenza al Padre che manda e dirige, e ciò lo esonera da ogni dovere di calcolo, di dosaggio, di diplomazia; gli conferisce lo slancio infinito che non ha bisogno di curarsi dei muri di contraddizione, di dolore, di fallimento e di morte, perché il Padre lo dirige e lo afferra all’estrema fine della notte. Mediante l’atto di obbedienza totale il Figlio è quindi giunto alla totale libertà; tutto l’infinito spazio di Dio, sia della morte, della notte eterna, sia della vita eterna, è aperto alla sua azione. Fin dal principio egli è al di là dell’ ‘affanno’ (“per il domani, di quel che si mangerà e berrà, di che si indosserà” Mt. 6,25) e nella tranquillità di colui che può lasciare tutto una volta e per sempre alla provvidenza del Padre.
Infatti, ciò che dell’ essenza di questo amore appare nell’esistenza del Figlio è la rinuncia a disporre di sé. Soltanto questa rinuncia dà all’attuazione del suo mandato l’inaudita forza esplosiva. Egli ha rinunciato ad ogni prudenza, ha lasciato l’intera provvidenza al Padre che manda e dirige, e ciò lo esonera da ogni dovere di calcolo, di dosaggio, di diplomazia; gli conferisce lo slancio infinito che non ha bisogno di curarsi dei muri di contraddizione, di dolore, di fallimento e di morte, perché il Padre lo dirige e lo afferra all’estrema fine della notte. Mediante l’atto di obbedienza totale il Figlio è quindi giunto alla totale libertà; tutto l’infinito spazio di Dio, sia della morte, della notte eterna, sia della vita eterna, è aperto alla sua azione. Fin dal principio egli è al di là dell’ ‘affanno’ (“per il domani, di quel che si mangerà e berrà, di che si indosserà” Mt. 6,25) e nella tranquillità di colui che può lasciare tutto una volta e per sempre alla provvidenza del Padre.
Dal sito: GliScritti
lunedì 7 novembre 2016
Suggerimenti di vita cristiana - Catechismo San Pio X
I consigli di san Pio X
«Che cosa deve fare un buon cristiano la mattina appena
svegliato? Un buon cristiano, la mattina appena svegliato, deve fare il segno
della Croce ed offrire il cuore a Dio, dicendo queste o altre simili parole:
Mio Dio, io vi dono il mio cuore e l'anima mia».
«Levato e vestito, che cosa deve fare un buon cristiano? Un
buon cristiano, appena levato e vestito, deve mettersi alla presenza di Dio, e
inginocchiarsi, se può, dinanzi a qualche divota immagine, dicendo con
devozione: "Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore; vi ringrazio
di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte; vi offerisco
tutte le mie azioni, e vi prego di preservarmi in questo giorno dal peccato, e
di liberarmi da ogni male. Cosi sia". Reciti quindi il Pater Noster, l'Ave
Maria, il Credo e gli atti di Fede, di Speranza e di Carità, accompagnandoli
con vivo affetto del cuore».
«Quali pratiche di pietà dovrebbe ogni giorno compiere il
buon .cristiano? Il cristiano, potendolo, dovrebbe ogni giorno:
- assistere
con devozione alla santa Messa
- fare una visita, anche brevissima, al SS.
Sacramento
- recitare la terza parte del santo Rosario».
«Che cosa si deve fare prima di lavorare? Prima di lavorare,
si deve offrire il lavoro a Dio, dicendo di cuore: "Signore, vi offerisco
questo lavoro: datemi la vostra benedizione».
«Che cosa convien fare prima di prender cibo? Prima di prender
cibo, stando in piedi, conviene fare il segno della santa Croce e poi dire con
devozione: "Signore Iddio, date la vostra benedizione a noi e al cibo che
ora prenderemo per mantenerci nel vostro servizio».
«La sera, prima di andare a riposo, che cosa convien fare? La sera prima del riposo, convien mettersi, come al mattino, alla presenza di Dio, recitare divotamente le stesse orazioni, fare un breve esame di coscienza e domandare perdono a Dio dei peccati commessi nella giornata».
venerdì 4 novembre 2016
Umiltà, S. Agostino
O Dio che sei sempre lo stesso, che io conosca me, che io conosca te:
che io conosca me per umiliarmi e che io conosca te per amarti.
giovedì 3 novembre 2016
Silvano del Monte Athos
"Quando ricevetti la grazia dello Spirito Santo, sapevo che Dio mi aveva perdonato i miei peccati.
La sua grazia
me lo testimoniava; e credevo di non aver bisogno di altro.
Ma non bisogna
pensare così.
Benché i
nostri peccati ci siano già perdonati, noi dovremmo ricordarli per tutta la
nostra vita in compunzione e pentimento.
Io, non
facendo così, perdevo la compunzione e avevo da soffrire molto dai demoni.
Non potevo
capire cos'era avvenuto in me: la mia anima conosceva il Signore e il suo
amore: perché mi venivano i cattivi pensieri?
Ma il Signore
ebbe pietà di me e mi mostrò la via dell'umiltà:
Tienti consapevolmente nell'inferno e
non disperare.
Con questo viene vinto il nemico.
Se io invece mi volto e lascio con la mia coscienza
il fuoco dell'inferno, i pensieri cattivi riprendono vigore."
martedì 25 ottobre 2016
il Card. Giacomo Biffi e Pinocchio - LE SETTE VERITA' FONDAMENTALI della realtà
LE SETTE VERITA' FONDAMENTALI DI PINOCCHIO
Sono tutte cristiane: la nostra origine da un Creatore, il peccato originale, il demonio, Cristo unico salvatore, Dio come fondamento della dignità umana, la vita di Grazia, inferno e paradiso
di Giacomo Biffi
Che cosa in realtà ha espresso il Collodi nel suo più celebre libro, di là dalle sue intenzioni consapevoli e dichiarate? Non ha espresso nessuna delle ideologie correnti (...): conservatorismo moralistico, liberalismo illuministico, pauperismo, marxismo, psicanalismo ecc. Non le ideologie ma la verità, di sua natura universale ed eterna, è contenuta in questo magico racconto e, servita com'era da un'alta fantasia e da una fresca ispirazione poetica, spiega la sua rapida affermazione e il suo duraturo trionfo.
LE SETTE VERITA' FONDAMENTALI DI PINOCCHIO
Ma, per non lasciare nel vago le nostre affermazioni, quali sono specificamente le verità che senza possibilità di discussione, traspaiono nella storia del burattino? Sono sette quelle che reggono e illuminano tutta la vicenda.
LE SETTE VERITA' FONDAMENTALI DI PINOCCHIO
Ma, per non lasciare nel vago le nostre affermazioni, quali sono specificamente le verità che senza possibilità di discussione, traspaiono nella storia del burattino? Sono sette quelle che reggono e illuminano tutta la vicenda.
lunedì 24 ottobre 2016
15 minuti con Gesù - S. Antonio Maria Claret
Non è necessario, figlio mio, sapere molto per farmi piacere.
Basta che tu abbia fede e che ami con fervore.
Se vuoi farmi piacere ancora di più, confida in me di più, se vuoi farmi piacere immensamente, confida in me immensamente.
Allora parlami come parleresti con il più intimo dei tuoi amici, come parleresti con tua madre o tuo fratello.
VUOI FARMI UNA SUPPLICA IN FAVORE DI QUALCUNO?
Dimmi il suo nome, sia quello dei tuoi genitori, dei tuoi fratelli o amici, o di qualche persona a te raccomandata…
Dimmi subito cosa vuoi che faccia adesso per loro.
Traccia per un regolamento di vita - Alfonso Maria de' Liguori
All’atto del levarsi, la mattina, fare i seguenti atti:
“Mio Dio, v'adoro, v'amo con tutto il cuore e vi ringrazio di
tutti i benefici e specialmente d'avermi conservato questa notte. Vi offro
tutto quanto farò e patirò in questo giorno in unione delle azioni e patimenti
di Gesù e di Maria; intendendo acquistare tutte le indulgenze che posso in
questo giorno. Propongo, Signore di fuggire oggi ogni offesa a Voi; ma voi tenetemi
le mani sopra, perché non vi tradisca.
Maria ss., custoditemi sotto il vostro manto. Angelo mio custode e santi miei avvocati, assistetemi”
Dire infine un Pater, Ave e Credo; e poi tre Ave alla purità di
Maria.
mercoledì 19 ottobre 2016
Lettera 268 - S. Elisabetta della Trinità
Dalle Lettere di S. Elisabetta della Trinità
Lettera 268 - : Alla signorina Francesca de SourdonSembra scritta perché io la legga e rilegga tutti i giorni.... e' stata scritta per me?
Ecco finalmente Elisabetta che viene a mettersi con la sua
matita accanto alla sua cara Francesca. Dico con la matita perché con il col
cuore siamo vicine ormai da tanto tempo, nevvero?, e rimaniamo tutt’e due fuse
insieme. Quanto amo i nostri
appuntamenti della sera. È come il preludio di quella comunione che si
stabilirà fra le nostre anime dal cielo alla terra. Mi sembra di essere china
su di te come una mamma sul figlio della sua predilezione. Alzo gli occhi a
guardare Dio e poi li riabbasso su di te come per esporti ai raggi del suo
amore. Mia cara Francesca, non gli dico delle parole per te. Io sento ch’Egli
mi comprende tanto più così, nel mio silenzio. Mia cara bambina, vorrei essere
santa per poterti aiutare fin d’ora, in attesa di farlo lassù. Che cosa non
soffrirei per ottenerti quelle grazie di
forza di cui hai bisogno.
Santa Elisabetta della Trinità
Mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a
dimenticarmi interamente per stabilirmi in Te, immobile e quieta come se la mia
anima fosse già nell’eternità; che nulla possa turbare la mia pace o farmi
uscire da Te, mio Immutabile, ma che ogni istante mi immerga sempre più nella
profondità del tuo mistero! Pacifica la mia anima, rendila tuo cielo, la tua
prediletta dimora e il luogo del tuo riposo. Che qui io non ti lasci mai solo,
ma tutta io vi sia, vigile e attiva nella mia fede, immersa nella adorazione,
pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O amato mio Gesù, crocifisso per amore,
vorrei essere una sposa del tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei
amarti… fino a morirne!… Ma sento la mia impotenza e ti prego di rivestirmi di
Te, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli dell’anima tua,
di sommergermi, d’invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia
che un riflesso della Tua Vita.
Vieni in me come Adoratore, come
Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio,
voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni
tuo insegnamento, per imparare tutto da Te; e poi, nelle notti dello spirito,
nel vuoto, nell’impotenza, voglio fissarti sempre e restare sotto il tuo grande
splendore. O mio Astro adorato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi
alla tua irradiazione.
O Fuoco consumatore, Spirito d’amore,
discendi sopra di me, perché si faccia nell’anima quasi un’incarnazione del
Verbo! Che io Gli sia un prolungamento d’umanità in cui egli possa rinnovare tutto
il Suo mistero.
E Tu, o Padre, chinati verso la tua
povera, piccola creatura, coprila della tua ombra e non guardare in essa che il
Figlio amato nel quale hai posto le tue compiacenze.
O miei Tre, mio Tutto, Beatitudine mia,
Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, mi consegno a Voi come ad una
preda. Seppellitevi in me perchè io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire
a contemplare nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze.
Amen.
S.
Elisabetta della Trinità r.c.i.
Laudem
Gloriæ
venerdì 14 ottobre 2016
A Messa! E di corsa....
LA REALTA' E' DI DIO: L'OBBLIGATORIETA' DELLA MESSA.
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n°10 - Ottobre 2016
Hanno umanizzato la Messa e poi l'hanno resa facoltativa: potremmo sintetizzare così la tragica parabola discendente del cattolicesimo ammodernato.
Intanto urge ricordare che la Messa cattolica, quella vera, poggia tutta sulla realtà e non su moti spirituali soggettivi.
È reale il mondo che non si è fatto da sé; è reale Dio, Creatore e Signore di tutto ciò che esiste. È reale, realissimo, che il mondo, dopo la caduta del Peccato Originale, è salvato da Gesù Cristo.
Intanto urge ricordare che la Messa cattolica, quella vera, poggia tutta sulla realtà e non su moti spirituali soggettivi.
È reale il mondo che non si è fatto da sé; è reale Dio, Creatore e Signore di tutto ciò che esiste. È reale, realissimo, che il mondo, dopo la caduta del Peccato Originale, è salvato da Gesù Cristo.
Attenti però: il mondo è salvato da Cristo in modo reale, non retorico cioè per modo di dire; è salvato con una azione storica redentiva: la sua Incarnazione Passione e Morte al Calvario.
L'azione salvifica di Gesù Cristo poi risponde al realismo della riparazione: Dio è stato offeso in modo inaudito dagli uomini, e solo il Dio fatto uomo può riparare una simile offesa, sostituendosi a noi sulla Croce. La Messa cattolica è la perpetuazione di questa riparazione che salva: Gesù Cristo continua ad offrirsi al Padre in sacrificio propiziatorio affinché per noi ci sia il perdono del Padre; e la propiziazione continua, lungo la storia, su tutti gli altari cattolici del mondo.
L'azione salvifica di Gesù Cristo poi risponde al realismo della riparazione: Dio è stato offeso in modo inaudito dagli uomini, e solo il Dio fatto uomo può riparare una simile offesa, sostituendosi a noi sulla Croce. La Messa cattolica è la perpetuazione di questa riparazione che salva: Gesù Cristo continua ad offrirsi al Padre in sacrificio propiziatorio affinché per noi ci sia il perdono del Padre; e la propiziazione continua, lungo la storia, su tutti gli altari cattolici del mondo.
giovedì 13 ottobre 2016
Via Crucis, 1991, Colosseo
VIA CRUCIS 1991
Colosseo
PREGHIERA
INIZIALE
Nel
nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo.
Amen
Fratelli
e sorelle, nella narrazione evangelica della Passione, uomini e donne del tempo
di Gesù partecipano con grave responsabilità alla condanna e alla morte
dell'Innocente, o con amorosa compassione al dolore e alla sofferenza del
Giusto.
Il
loro comportamento ispira la nostra meditazione orante mentre ripercorriamo con
il Cristo il cammino della Croce, che conduce alla sua morte dolorosa e gloriosa.
Il
loro comportamento ci interpella oggi di fronte alla passione del Figlio
dell'uomo, che continua nel dolore dell'umanità e di tutta la creazione.
La
Croce gloriosa di Cristo illumini di speranza il cammino verso la salvezza.
Preghiamo.
Dirigi,
Padre,
con la
luce della tua grazia
i
nostri passi sulla via della Croce,
perché,
camminando sulle orme di Cristo,
giungiamo
alla tua dimora di gloria,
dove
Egli ha preparato un posto per noi.
A te,
Padre,
per
Cristo, nello Spirito,
ogni
onore e gloria
nei
secoli eterni.
Amen.
lunedì 5 settembre 2016
La sovrastruttura del pensiero
Preambolo: ho fatto un cammino splendido, la Via di Francesco. Ma duro, molto duro - vuoi per il periodo, per le temperature, per il non allenamento.. e - a posteriori - denso di "regali".
Ciò che dal mio viaggio a piedi rimane con me, tra le altre cose, è l'esperienza della distinzione tra il pensare ed il vivere.
La sovrastruttura del pensiero.
L'esperienza dell'essere a nudo nella fatica.
La conoscenza di ciò che rimane di me, di ciò che sono quando nulla sostiene false immagini, immagini che - tra l'altro - racconto a me stessa di me stessa.
Quindi, come sovrastruttura del pensiero intendo tutto quel rumore che copre la vera essenza di me in un determinato periodo della mia vita.
Mi sono resa conto, insomma, che la sorgente dell'agire si radica in profondità che non sempre sono allineate con il pensare.
E questo disallineamento aumenta all'aumentare dello stato di benessere, diminuisce con l'aumentare dello stato di malessere: immagino che vada a zero negli istanti che precedono la morte, o la seguono, nel caso di lutti, informazioni destabilizzanti, ... dove smetti di pensare per sopravvivere.
Perché io sono ciò che faccio, non ciò che penso. Incarnazione versus idea.
Senza arrivare ai casi estremi di cui sopra, mi sono resa conto che per conoscermi veramente è inutile lanciarmi in analisi colpevolizzanti/premianti che partono dal mio ombelico per arrivare al mio ombelico....
Se voglio muovermi nel campo della realtà e non delle sovrastrutture, le opzioni mi paiono:
- imparare ad osservarmi negli altri (conoscermi da come gli altri reagiscono alle mie azioni)
- imparare da me quando sono a nudo (esperienze, che quando capitano, graffiano la pelle)
A naso, e' più "simpatico" l'apprendimento quando ci si mette in condizioni di attenzione nella vita quotidiana, piuttosto che conoscersi in situazioni più o meno estreme... partendo, infatti, dall'ipotesi che il vero sé viene fuori solo in situazioni di pericolo, ciò non toglie che è possibile lavorare anche quando il pericolo è lontano.
In soldoni, qual è l'esperienza che ho fatto?
Che per me il rapporto con Dio è una sovrastruttura.
E' un rapporto fatto di tante parole appiccicate alla mia persona.
Ma quando mi sono spogliata, a Dio ho pensato poco, con fatica, sempre per obbligo,
Quindi una relazione inesistente.
Una proiezione della mia mente, ma nel mio essere nulla c'è che rivela Lui al di là delle parole e dei pensieri.
Informazione interessante. Spaventosa. Luminosa.
Respiro piano e mi rimangono domande su cosa fare, che fare, come agire.... ma ho deciso di sospendere le risposte.
Attendo.
Ed auspico il silenzio della mente, per vivere la realtà, come in quei giorni di cammino.
Con una conoscenza in più.
Ed una certezza in meno. Su di me.
Ciò che dal mio viaggio a piedi rimane con me, tra le altre cose, è l'esperienza della distinzione tra il pensare ed il vivere.
La sovrastruttura del pensiero.
L'esperienza dell'essere a nudo nella fatica.
La conoscenza di ciò che rimane di me, di ciò che sono quando nulla sostiene false immagini, immagini che - tra l'altro - racconto a me stessa di me stessa.
Quindi, come sovrastruttura del pensiero intendo tutto quel rumore che copre la vera essenza di me in un determinato periodo della mia vita.
Mi sono resa conto, insomma, che la sorgente dell'agire si radica in profondità che non sempre sono allineate con il pensare.
E questo disallineamento aumenta all'aumentare dello stato di benessere, diminuisce con l'aumentare dello stato di malessere: immagino che vada a zero negli istanti che precedono la morte, o la seguono, nel caso di lutti, informazioni destabilizzanti, ... dove smetti di pensare per sopravvivere.
Perché io sono ciò che faccio, non ciò che penso. Incarnazione versus idea.
Senza arrivare ai casi estremi di cui sopra, mi sono resa conto che per conoscermi veramente è inutile lanciarmi in analisi colpevolizzanti/premianti che partono dal mio ombelico per arrivare al mio ombelico....
Se voglio muovermi nel campo della realtà e non delle sovrastrutture, le opzioni mi paiono:
- imparare ad osservarmi negli altri (conoscermi da come gli altri reagiscono alle mie azioni)
- imparare da me quando sono a nudo (esperienze, che quando capitano, graffiano la pelle)
A naso, e' più "simpatico" l'apprendimento quando ci si mette in condizioni di attenzione nella vita quotidiana, piuttosto che conoscersi in situazioni più o meno estreme... partendo, infatti, dall'ipotesi che il vero sé viene fuori solo in situazioni di pericolo, ciò non toglie che è possibile lavorare anche quando il pericolo è lontano.
In soldoni, qual è l'esperienza che ho fatto?
Che per me il rapporto con Dio è una sovrastruttura.
E' un rapporto fatto di tante parole appiccicate alla mia persona.
Ma quando mi sono spogliata, a Dio ho pensato poco, con fatica, sempre per obbligo,
Quindi una relazione inesistente.
Una proiezione della mia mente, ma nel mio essere nulla c'è che rivela Lui al di là delle parole e dei pensieri.
Informazione interessante. Spaventosa. Luminosa.
Respiro piano e mi rimangono domande su cosa fare, che fare, come agire.... ma ho deciso di sospendere le risposte.
Attendo.
Ed auspico il silenzio della mente, per vivere la realtà, come in quei giorni di cammino.
Con una conoscenza in più.
Ed una certezza in meno. Su di me.
mercoledì 31 agosto 2016
martedì 30 agosto 2016
Henri Frédéric Amiel - Frammenti di diario intimo
Le masse saranno sempre al di sotto della media.
La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci.
Sarà la punizione del suo principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi.
Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze.
Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento.
L’adorazione delle apparenze si paga.
(12 giugno 1871)
La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci.
Sarà la punizione del suo principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi.
Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze.
Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento.
L’adorazione delle apparenze si paga.
(12 giugno 1871)
lunedì 29 agosto 2016
Simone Weil
“La fede vera si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita, da lì capisco se uno ha soggiornato in Dio.
Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni”
“La grandezza suprema del cristianesimo viene dal fatto che
esso non cerca un rimedio sovrannaturale contro la sofferenza bensì un impiego
sovrannaturale della sofferenza”
“C'è qualcos'altro che ha il potere di svegliarci alla
verità. È il lavoro degli scrittori di genio. Essi ci danno, sotto forma di
finzione, qualcosa di equivalente all'attuale densità del reale, quella densità
che la vita ci offre ogni giorno ma che siamo incapaci di afferrare perché ci
stiamo divertendo con delle bugie.”
“L’anima umana ha bisogno di partecipazione disciplinata a
un compito condiviso di pubblica utilità, e ha bisogno di iniziativa personale
in questa partecipazione.”
“Sfuggire al contagio della follia e della vertigine
collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell'idolo
sociale, il patto originario dello spirito con l'universo.”
“Fra gli esseri umani, si riconosce pienamente l'esistenza
soltanto di coloro che amiamo.”
“Chi penserebbe a Dio se non ci fosse il male nel mondo?”
“Amare puramente significa amare nell'altro la sua fame, ma
noi amiamo gli altri come nutrimento”
“Il dolore è la radice della conoscenza.”
“L'amor di Dio è puro quando la gioia e la sofferenza
ispirano in egual misura gratitudine. “
“La sventura estrema che colpisce gli esseri umani non crea
la miseria umana, la rivela soltanto.”
“L'attenzione è la forma più rara e più pura della
generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono.”
“L'attenzione assolutamente pura è preghiera”
“Non dobbiamo
acquistare l'umiltà. L'umiltà è in noi. Soltanto, ci umiliamo dinanzi a falsi
dèi“
“Gli amanti e gli amici desiderano due cose: di amarsi al
punto di entrare l'uno nell'altro e diventare un solo essere e di amarsi al
punto che la loro unione non ne soffra, quand'anche fossero divisi dalla metà
del globo terrestre. Tutto ciò che l'uomo desidera invano quaggiù, è perfetto e
reale in Dio. Tutti i nostri desideri impossibili sono il segno del nostro
destino e diventano buoni per noi proprio nel momento in cui non speriamo più
di realizzarli “
“Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e
della specie, per raggiungere l'anima e sedurla. Se essa si lascia strappare,
anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista.
E quando sia divenuta cosa interamente sua, l'abbandona. La lascia totalmente
sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito
del tempo e dello spazio alla ricerca di colui ch'essa ama. Così l'anima rifà
in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce.”
“Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza.”
“Non giudicare. Tutte le colpe sono eguali. C'è una colpa
sola: non aver la capacità di nutrirsi di luce. Perché, abolita questa
capacità, tutte le colpe sono possibili”
“Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno.
Rimetter loro questo debito. Accettare che essi siano diversi dalle creature
della nostra immaginazione, vuol dire imitare la rinuncia di Dio. Anch'io sono
altra da quella che m'immagino essere. Saperlo è il perdono”
“Bisognerebbe trasformare in oggetto di desiderio ogni
avvenimento compiuto. È una cosa ben diversa dalla rassegnazione. Persino la
parola accettazione è troppo debole. Si deve desiderare che tutto ciò che è
avvenuto sia avvenuto, e null'altro. Non perché ciò che è avvenuto è un bene a
nostro modo di vedere, ma perché Dio lo ha permesso e perché l'obbedienza degli
eventi a Dio è in sé un bene assoluto”
"Attendere e obbedire. Attendere implica tutta la tensione del desiderio, ma senza appagamento, una tensione accettata in perpetuo"
domenica 28 agosto 2016
Gregorio di Narek
Non è tanto dal legame
della speranza
quanto per i legami dell'amore
che io sono attratto.
Non è dei doni,
ma del Donatore
che ho sempre
la nostalgia.
Non è la gloria
a cui aspiro,
ma è il Glorificato
che voglio abbracciare.
Non è per il desiderio della vita,
ma per il ricordo
di colui che dà la vita
che costantemente mi consumo.
Non è dietro la passione
dei godimenti
che sospiro,
ma è per il desiderio
di colui che li prepara,
che dal più profondo
del mio cuore
scoppio in singhiozzi.
Non è il riposo ciò che cerco,
ma è il volto
di colui che dona riposo,
che io domando supplicando.
Non è per il banchetto nuziale
ma per il desiderio dello Sposo che languisco.
sabato 27 agosto 2016
Maria a Josefa Menendez
Il 15 agosto 1923, a
sera, la Madonna si manifestò a Josefa Menendez in tutta la sua bellezza. Nel
giorno sacro al mistero della sua Assunzione, la Madre Celeste volle
rallegrare la sua diletta devota. Estasiata davanti alla bellezza della
Madonna, Josefa esclamò: Madre mia, com'è bello questo giorno! Tutto il mondo
esulta a ricordare il vostro ingresso in Cielo!
- Sì, rispose Maria, proprio in questo giorno la gioia piena e perfetta è cominciata per me, poiché durante la mia vita l'anima mia fu trafitta da una spada.
- Ma soffriste sempre in vita? La presenza del Bambino Gesù, così piccolo e bello, non era per Voi una immensa consolazione?
- Figlia mia, ascolta! Sin dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine; così che quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per Madre del Salvatore degli uomini, il mio cuore fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e Divino Bambino doveva soffrire; e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne.
Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i sentimenti nel contemplare le attrattive del mio Figlio, il suo corpo, che sapevo doveva essere un giorno così crudelmente maltrattato.
Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra s'impregnassero già di sangue. Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla Croce. E quando Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla Croce.
Quando giunse all'adolescenza, apparve in Lui un tale assieme di grazia affascinante che non lo si poteva contemplare senza restarne rapiti! Solo il mio cuore di Madre si stringeva al pensiero dei tormenti, di cui in anticipo provavo la ripercussione.
Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della sua Passione e Morte furono per me il più terribile dei martiri.
Quando il terzo giorno lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto, poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! Che lungo esilo per me quando Gesù salì al Cielo! Come sospiravo l'istante della eterna unione!
Sull'entrare del mio sessantatreesimo anno, l'anima mia passò come un lampo dalla terra al Cielo. Dopo tre giorni gli Angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammirazione, quale adorazione e dolcezza, quando i miei occhi videro per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà il mio Figlio e mio Dio, in mezzo alle schiere angeliche!
Che dire poi, figlia mia, dello stupore che m'invase alla vista della mia estrema bassezza, che veniva coronata da tanti doni e circondata da tante acclamazioni?... Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna! Tutto è dolcezza, gloria, amore! -
A questo punto la Madonna tacque un istante, immersa nel magnifico ricordo del suo ingresso in Cielo; poi continuò:
- Tutto passa, figlia mia, e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama! ... Coraggio! ... L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna! - Ciò detto, la Madonna sparì.
Ecco come la Vergine Celeste premia e consola certe anime che sanno onorarla e come gode che sia ricordato il giorno del suo ingresso in Paradiso!
- Sì, rispose Maria, proprio in questo giorno la gioia piena e perfetta è cominciata per me, poiché durante la mia vita l'anima mia fu trafitta da una spada.
- Ma soffriste sempre in vita? La presenza del Bambino Gesù, così piccolo e bello, non era per Voi una immensa consolazione?
- Figlia mia, ascolta! Sin dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine; così che quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per Madre del Salvatore degli uomini, il mio cuore fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e Divino Bambino doveva soffrire; e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne.
Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i sentimenti nel contemplare le attrattive del mio Figlio, il suo corpo, che sapevo doveva essere un giorno così crudelmente maltrattato.
Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra s'impregnassero già di sangue. Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla Croce. E quando Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla Croce.
Quando giunse all'adolescenza, apparve in Lui un tale assieme di grazia affascinante che non lo si poteva contemplare senza restarne rapiti! Solo il mio cuore di Madre si stringeva al pensiero dei tormenti, di cui in anticipo provavo la ripercussione.
Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della sua Passione e Morte furono per me il più terribile dei martiri.
Quando il terzo giorno lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto, poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! Che lungo esilo per me quando Gesù salì al Cielo! Come sospiravo l'istante della eterna unione!
Sull'entrare del mio sessantatreesimo anno, l'anima mia passò come un lampo dalla terra al Cielo. Dopo tre giorni gli Angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammirazione, quale adorazione e dolcezza, quando i miei occhi videro per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà il mio Figlio e mio Dio, in mezzo alle schiere angeliche!
Che dire poi, figlia mia, dello stupore che m'invase alla vista della mia estrema bassezza, che veniva coronata da tanti doni e circondata da tante acclamazioni?... Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna! Tutto è dolcezza, gloria, amore! -
A questo punto la Madonna tacque un istante, immersa nel magnifico ricordo del suo ingresso in Cielo; poi continuò:
- Tutto passa, figlia mia, e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama! ... Coraggio! ... L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna! - Ciò detto, la Madonna sparì.
Ecco come la Vergine Celeste premia e consola certe anime che sanno onorarla e come gode che sia ricordato il giorno del suo ingresso in Paradiso!
[Brano tratto da "Vera devozione a
Maria", di Don Giuseppe Tomaselli, Imprimatur Can. Carciotto Vic. Gen.,
Catania 13 maggio 1952].
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