martedì 13 dicembre 2016

Umiliazioni e umiltà - Isacco il Siro


Quando la Grazia ha confermato l’intelligenza dell’uomo attraverso la fiducia in Dio, allora, da quel momento, comincia ad introdurla, a poco a poco, nelle tentazioni e lascia che le siano inviate quelle tentazioni il cui grado di difficoltà essa è in grado di sopportare.

E in ogni tentazione essa riceve, sensibilmente, l’aiuto necessario perché sia consolata; affinchè, a poco a poco, si eserciti, acquisisca la sapienza (esperienza di una relazione) e disprezzi i suoi nemici per mezzo della fiducia in Dio.

Infatti, senza di esse, l’uomo non può diventare esperto nelle battaglie spirituali, né conoscere la provvidenza di Dio, né sperimentare il suo Dio, né essere segretamente confermato nella sua fede da quella potenza che in se stesso riceve tramite la tentazione.

Quando, infatti, vede che in lui incomincia a muoversi un po’ il pensiero della presunzione ed incomincia a pensare grandi cose di sé stesso, la Grazia lascia che le tentazioni si rinforzino e si irrobustiscano contro di lui, perché egli conosca la sua debolezza e fugga e si rifugi in Dio, nell’umiltà.

Attraverso ciò egli giunge alla misura dell’uomo perfetto, nella fede e nella speranza nel Figlio di Dio; e presso di lui egli è innalzato nell’amore.

Infatti, in modo mirabile, quando l’uomo si trova in mezzo a quelle circostanze piene di disperazione, allora in lui di fa conoscere l’aiuto di Dio. E allora Dio mostra la sua potenza attraverso la salvezza dalle tentazioni.

Nessuno impara nella pienezza la potenza di dio nel riposo e nel sollievo.

L’anima che un tempo, nella fede, ha consegnato il suo essere a Dio e, in mezzo a molte tentazioni, ha ricevuto il gusto del suo aiuto, non pensa più a sé stessa, ma è stretta nel silenzio e nello stupore.

Sono le situazioni della vita che mettono l’uomo, affetto dalla philautia, di fronte alla propria debolezza, all’umiliazione, all’impotenza. Tutto questo, però, non è considerato solo dal lato negativo, ma come un’occasione di grazia, un luogo di salvezza da cui si può finalmente passare dall’umiliazione all’umiltà.

Ed è lo stupore dell’essere avvolti dal mistero di Dio che permette di abbattere le ultime resistenze interiori, che prendono come scusa l’esistenza dei peccati per non consegnarsi completamente a Dio. Tra la coscienza, che come cattiva padrona, esercita la sua attività di rimorso dei peccati, e il mistero di Dio accogliente, prevale quest’ultimo, perché Dio è più grande del nostro cuore.

Come le onde del mare si abbatte sul mio pensiero il diluvio dei misteri del Cristo; e io, mio Signore, ho voluto tacere di essi e non parlare. Ma erano nel mio cuore come fuoco che arde e s’infiamma nelle mie ossa. La mia intelligenza mi rimprovera e mi mostra i miei peccati; ma il tuo mistero mi stupisce, mi costringe a guardarlo e nel silenzio mi fa segno, dicendo: Non esitare ad avvicinarti per timore dei tuoi peccati, o peccatore, perché è per mezzo di questa meditazione che è scacciato dal tuo pensiero il fango del tuo peccato.

Acconsentire a questa dolorosa pedagogia di Dio è dunque necessariamente accettare di andare nello stesso senso, cioè non fuggire davanti all’umiliazione inflitta dalla tentazione, ma – in un certo senso – abbracciarla. Gli autori antichi insistono su questa ricerca della grazia fino a questo punto, perché è nell’umiliazione accettata e spiritualmente “assimilata” che la salvezza ci attende.

Ma non solo la tentazione è luogo di umiltà, anche il peccato può diventare “passaggio” di salvezza: può darsi, infatti, che la tentazione più infida non sia quella che precede il peccato, ma quella che lo segue. La tentazione della disperazione. E’ l’umiltà finalmente imparata che permetterà, ancora una volta, di sfuggire a questa tentazione.

(estratto dal libro :" Chi è l'uomo, Signore? Viaggio alla scoperta del cuore" di Carmelo Torcivia
pagg. 110/113)

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