LA
MESSA COME SACRIFICIO
(Trascrizione di una conversazione di padre
Serafino Tognetti)
In
questi testi, Dio dà ordini molto precisi: nulla deve essere lasciato al caso o
all’improvvisazione. Tale precisione di dettagli ci fa capire che questi
sacrifici erano molto importanti. Cerchiamo di capirne il motivo.
I
sacrifici che si facevano al Tempio erano composti di cinque fasi, cinque
tempi:
1.Santificazione
(consacrazione) della vittima
2.Offerta
(oblazione)
3.Uccisione
(immolazione)
4.Infiammazione
5.Consumazione
Santificazione – L’animale che si doveva portare
al Tempio per il sacrificio non era uno qualsiasi del gregge: doveva essere
innanzitutto il primo parto maschio (se nasceva una femmina, veniva unita al
branco: si attendeva il maschio), poi doveva essere sano, perfetto. Non si
poteva offrire a Dio un animale malato: “Consacrerai al Signore tuo Dio ogni
primogenito maschio che nascerà nel tuo bestiame grosso o minuto… Se l’animale
ha qualche difetto, se zoppo o cieco o qualche altro difetto grave, non lo
sacrificherai al Signore tuo Dio” (Dt 15, 19.21).
Perché
doveva essere sano? Perché il difetto viene dal peccato, e Dio si oppone al
peccato. Ovviamente l’animale non aveva colpe se nasceva zoppo o
cieco, ma la
mancanza di perfezione ha sempre un remoto legame col peccato originale,
quindi si doveva portare a Dio una vittima il più possibile sana.
Alla
nascita, l’agnello veniva separato apposta (immagino dopo lo svezzamento), non
poteva essere usato per nessun altro scopo: guai a venderlo di nascosto o farne
un arrosto per gli amici. Quell’animale era separato, “sacro”. Una volta
portato al tempio per il sacrificio, il sacerdote lo prendeva, poneva le mani
su di lui, e da quel momento nessun altro poteva più toccarlo.
Offerta – Il sacerdote faceva delle
preghiere a Dio offrendo l’animale prima di sgozzarlo. Vi erano diversi tipi di
sacrifici (sacrifici di comunione, sacrifici di lode, sacrifici di impetrazione
e di espiazione) che adesso non analizziamo, ma è chiaro che ogni tipo di
sacrificio aveva le sua preghiere specifiche, che il sacerdote recitava a Dio.
La
vittima, se di piccola mole, veniva anche elevata, innalzata, come segno
visibile di offerta al Cielo, a Dio, mentre le preghiere proseguivano.
Uccisione – A quel punto l’animale veniva
sgozzato, ucciso. Ne viene che il Tempio doveva avere una parte che oggi
chiameremmo mattatoio, macello. E non doveva essere nemmeno un’area piccola, se
si legge nel libro dei Re quanto successe in occasione dell’inaugurazione del
Tempio stesso: “Salomone immolò al Signore, in sacrificio, 22.000 buoi e
120.000 pecore. Così il re e tutti gli israeliti dedicarono il tempio al
Signore” (1 Re, 8,62). Non so se si devono prendere questi numeri alla lettera,
certo è che non so immaginare che cosa poté significare macellare 22.000 buoi
in un colpo.
Infiammazione – Una volta uccisa la vittima, si
cuoceva, ossia si accendeva il fuoco su di essa. Il fuoco ha sempre un effetto
purificatore, è anzi figura di Dio, il quale viene chiamato, nel Deuteronomio,
“fuoco divoratore” (Dt 4,24). In casi eccezionali succedeva che il fuoco veniva
giù dal cielo da solo, come intervento diretto di Dio, sulla vittima. Questo
successe per esempio nella famosa sfida di Elia con i profeti di Baal: Elia
pregò e Dio mandò il fuoco, come dimostrazione della sua presenza e potenza.
Ma
vi è un altro effetto del fuoco: fa fumo,
che sale verso il cielo. Nei testi dell’Antico Testamento viene detto che Dio “respira” questo fumo, che diventa
pro-fumo, un profumo di soave odore. Di buon odore perché proviene dal
sacrificio che si consuma in suo onore come atto di culto. Un passo tra i
tanti: “Noè edificò un altare al Signore, prese ogni sorta di animali mondo e
offrì olocausti sull’altare. Il Signore odorò la soave fragranza e pensò: Non
maledirò più il suolo” (Gen 8,21).Questa unione Cielo-terra, Dio-uomo, attraverso il fumo che sale, è già un inizio di comunione tra il Creatore e la sua creatura.
Tra l’altro è bene ricordare che un grande incendio ci sarà alla fine del mondo; anzi sembra che l’atto ultimo della storia sarà proprio un immane incendio: “I cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi” (2 Pt 3,7).
Comunione – La vittima cotta veniva poi
divisa in tre parti: una restava nel fuoco, ed era per Dio, una la mangiava il
sacerdote con quelli della sua famiglia, una veniva data al popolo. Quella che
restava nel fuoco per il Signore aveva un nome che voi ben conoscete: si
chiamava “olocausto”.
Mangiare
significava entrare in comunione profonda con Dio, perché anch’egli “mangiava”
la sua parte, proveniente dalla stessa vittima. San Paolo userà la stessa
immagine quando parlerà delle carni immolate egli idoli. Ricordo una canzone
degli alpini, “Il capitan della Compagnia”. In questo canto si narra di un
soldato che sta per morire e ordina che il suo corpo, una volta morto, venga
smembrato in cinque parti e mandato una al battaglione, una alla mamma, una
alla fidanzata, una alla patria e una alla montagna. Certo, è solo una canzone,
ma dice il desiderio di fare comunione,
attraverso la propria carne, con le persone o le cose più amate.
Questo
riguarda i sacrifici antichi, i quali ottenevano quel che ottenevano, ma sono
importanti nel solo significato di figura, di rimando, di preparazione.
Arriverà poi il tempo dell’abolizione dei sacrificio con la presenza della
Vittima pura e santa: Gesù Cristo, Dio in persona.
Gesù
è la vittima prefigurata, e infatti Egli compie esattamente tutte le cinque
parti delle vittime
animali del tempio, in sé, e una volta per sempre.
Vediamo
le fasi:
La
santificazione avviene al momento della sua
Incarnazione. Dirà il Signore di se stesso: “Se essa [la Scrittura] ha chiamato
‘dei’ coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, a colui che il Padre ha
consacrato e mandato nel mondo, voi dite tu bestemmi…” (Gv 10,36). Si dice che
Gesù fu consacrato. Consacrato per che cosa? Per essere vittima. Inoltre Egli
non solo è il primo figlio maschio della Vergine Maria, ma è l’Unigenito,
l’unico, il santo. Egli è l’unigenito del Padre e il primogenito della Vergine
Maria: perfetto per essere offerto.
Per
compiere il sacrificio, Dio doveva assumere un corpo umano, come esprime in
modo sublime la lettera agli Ebrei: “Entrando nel mondo Cristo dice: Tu non hai
voluto né sacrificio [di animali] né offerta, un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco
io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare o Dio la
tua volontà” (Eb 10,5-7). Quando si inaugurò il Tempio, abbiamo visto, furono
immolati 22.000 buoi; quando arrivò Gesù nel mondo quanti buoi avrebbero dovuto
essere sacrificati? Milioni e miriadi di milioni. Ma non se ne accorse nessuno,
a Betlemme, se non pochi pastori avvertiti dagli angeli. Non c’era più bisogno
di tanti giovenchi: ora c’era Lui, bastava Uno solo, che avrebbe, col suo
Corpo, pagato per tutti compiendo l’unico vero infinito sacrificio.Prima della morte, poi, Gesù rinnovò la sua consacrazione: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,19).
L’offerta di Gesù inizia con la nascita e prosegue per
tutta la sua vita terrena. Gesù fu in
atto di continua offerta di sé, per arrivare all’offerta massima sulla
croce. Nel Vangelo di Giovanni questo richiamo è continuo: Gesù non fa altro
che dire di non essere venuto per compiere la sua volontà, ma la volontà del
Padre. E parlando del proprio sacrificio, dice chiaramente: “Nessuno mi toglie
la vita, sono io che la dono”.
L’uccisione non va dimostrata, perché tutti sanno che Gesù
morì sulla croce. In Lui si realizza alla lettera quanto era prefigurato nel
rito del capro che, caricato dei peccati del popolo, viene mandato a morire nel
deserto (Lv 16,18-22). Nessuno poteva toccare quel capro (il famoso “capro
espiatorio”), e se lo si toccava, occorreva immediatamente purificarsi.
L’animale moriva fuori dall’accampamento, e Gesù fu portato morire fuori dalle
mura. Il capro è figura perfetta di Gesù: caricato di peccati non suoi, per
questi peccati egli deve morire.
E
l’infiammazione come avviene? Gesù non fu bruciato, né
sulla croce né una volta deposto dalla croce, per cui sembra che questo punto
sia mancante nel sacrificio di Cristo. Ma non è così. Che
cos’è la resurrezione dai morti, se non il corpo vitalizzato dallo Spirito
Santo? E cos’è lo Spirito Santo, se non il fuoco di Dio? “Come Cristo è
resuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
camminare per una vita nuova”, scrive san Paolo (Rm 6,4). Notiamo questo
versetto: Gesù è resuscitato per mezzo della gloria del Padre, come se il Padre
si fosse piegato su di Lui investendolo della sua gloria, che è luce, fuoco,
energia, soffio che brucia. Ecco l’infiammazione, e che infiammazione! Persino
gli studiosi della sacra sindone ci dicono che l’impressione sul telo fu provocata
da una sorta di radiazione di luce inspiegabile con la scienza umana.
Infine
la comunione. Certo, questa non avvenne con il corpo
visibile del Signore, né alla deposizione né con quel corpo che gli apostoli
videro per 40 giorni dopo la resurrezione. La
comunione vera che si realizzò con la resurrezione fu prima di tutto quella del
Figlio stesso con il Padre. Gesù portò al Padre il corpo ferito e
purificato, e in questo ingresso nel seno del Padre si realizza qualcosa di
nuovo, come esprime la lettera ai Romani parlando di Gesù: “Costituito figlio
di Dio con potenza mediante la resurrezione dai morti” (Rm 1,4). Sembra che
allora nel tornare al Padre, risorto, Gesù realizzi la una comunione per certi
versi nuova. Sì, nuova, perché ora Gesù ha un corpo nuovo, che prima
dell’Incarnazione non aveva, visto che viene costituito figlio di Dio mediante
la resurrezione. Prima di sacrificarsi sulla croce, nell’ultima cena, Gesù
prega: “E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che avevo
presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5). È
un movimento di discesa e ascesa: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel
mondo, ora lascio di nuovo il mondo e torno al Padre”. Ma ora il Padre lo
riceve come Vittima, ecco la differenza tra il prima e il dopo!
Qui
si realizza la vera comunione, che riconcilia il genere umano a Dio, nel
pentimento e nella remissione dei peccati. Questa comunione è eterna, non
finirà mai. E la cosa inimmaginabile, clamorosa, inaudita, è che questa
comunione tra il Figlio-Vittima e il Padre viene data gratuitamente a noi
uomini! Infatti la comunione del Figlio col Padre altro non è che una persona,
lo Spirito Santo, che viene effuso sugli uomini per la remissione dei peccati.
Così ora io sono immerso, col battesimo, nella Giustificazione ed elevato nella
vita intima di Dio.
Meraviglie
delle meraviglie, stupore dello stupore. Nei confronti di questa realtà,
guarire un malato o spostare l’America al posto della Cina è un gioco da
bambini, una sciocchezza di cui non vale la pena occuparsi. Dio mi coinvolge e mi dà il suo Spirito, proprio nella Messa nella
quale io, sacerdote, pover’uomo, offro al Padre il Figlio sacrificato.
Diceva tra le lacrime don Divo Barsotti: “Dio chiede a me Se stesso!”. È come se senza di me Egli non potesse ricevere il Figlio.
Ecco perché la Messa è il
Sacrificio vero, perfetto, è la gloria più grande che l’uomo possa dare a Dio.
La
Messa altro non è che il Sacrificio di Cristo ripresentato agli uomini di oggi,
di ogni tempo.
L’unica differenza è che il Sacrificio di
Gesù sulla croce fu cruento, quello sull’altare della chiesa è incruento.
Ma
a parte questa differenza, avvengono le stesse cose, si ripetono tutti e cinque
gli elementi. Non specifichiamo i momenti della liturgia in cui avvengono,
perché sono palesi nei gesti del sacerdote: consacrazione del Pane, elevazione,
Passione, invocazione dello Spirito Santo, santa Comunione. C’è tutto. Oltre
non si va. Non si può andare, perché oltre l’infinito non vi è nulla. Nella
Messa ci sono figure e segni: ma mentre nell’Antico Testamento quelli
rimandavano a qualcosa che doveva venire, nella Messa questi realizzano la
sostanza, il fatto, e lo offrono. Sono gesti pieni di verità, e nella Comunione
il passaggio del Sacrificio da Dio a me avviene veramente. Non ne rimango
folgorato, non cado a terra, solo perché Dio lo permette, ma dovrei morire
immediatamente distrutto dal fuoco della carità divina.
Se la Bibbia è il libro della storia del mondo, allora non vi è altra vita, nella storia e nel mondo, che il Sacrificio di Cristo: prima annunciato, poi realizzato, ora vissuto. Tutto il resto, semplicemente, non esiste, è inganno del diavolo. O le cose, tutte, entrano nel Sacrificio di Cristo, o sono irrimediabilmente perdute. Si capisce allora perché san Lorenzo da Brindisi per celebrare la Messa ci impiegava più di dodici ore; iniziava alla mattina e finiva alla sera, e la mattina dopo ricominciava.
In
effetti, non c’è altra vita.
Non c’è altro, se non il Sacrificio di
Cristo e tutto quello che Egli salva, eleva, santifica.
(preso da qui)
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