La prostituta, l'assassino
e il libro eterno
di Marco Ballarini (preso qui)
Annus horribilis, il 1864,
per Dostoevskij. Il 15 aprile muore la prima moglie e pochi mesi dopo, il 10
luglio, il fratello Michail, che lascia, oltre a una famiglia numerosa
completamente priva di mezzi, anche la rivista «Epocha» gravata di debiti per 25.000
rubli. Inizia così un'affannosa ricerca di denaro con emissioni di cambiali,
prestiti usurai, incontri con mediatori e uomini d'affari, a volte della
peggior specie, commissari di polizia, sempre a un passo dal sequestro della
sua proprietà.
«In ogni modo la terribile
tensione del 1864, quando Dostoevskij stampava "in tre tipografie in una
volta, non badava ai soldi né alla salute e alle forze, correggeva bozze, si
dava da fare coi collaboratori e con la censura, rivedeva articoli, cercava
quattrini, lavorava fino alle sei del mattino e dormiva cinque ore su
ventiquattro", non diede i risultati attesi» [1]. Anche a causa della
morte di A. Grigor'ev, uno dei più validi collaboratori, il livello della
rivista scade, gli abbonati se ne vanno, con l'inevitabile chiusura nell'estate
del '65.
Lo salva temporaneamente
un contratto capestro con uno speculatore letterario di nome Stellovskij, che
gli offre tremila rubli in cambio dei diritti su quanto già pubblicato e un
nuovo romanzo da consegnarsi entro l'inizio di novembre del 1866. In caso di
mancata consegna sarebbero passati allo Stellovskij anche i diritti di tutte le
opere successive[2].
Per sfuggire ai creditori
e potersi concentrare nel lavoro creativo Fëdor è costretto ad andarsene
all'estero, ma a Wiesbaden perde al gioco tutto quanto possiede, venendosi a
trovare in una situazione di vera indigenza [3].
Accanto ai problemi
personali, incombono quelli di una società non solo in evoluzione, ma in forte
tensione, con le tragiche conseguenze della riforma contadina e una crisi
monetaria che raggiunge l'apice proprio in quegli anni. In ebollizione,
naturalmente, anche le idee. Il fourierismo era sfociato nel nichilismo,
inaccettabile per Dostoevskij, che contrapponeva l'«anima viva» alla «logica»
di quanti volevano "organizzare" la società a spese della libertà
personale [4]. In questo clima nasce Delitto e castigo, il primo dei
"grandi romanzi", pubblicato a puntate sul «Messaggero russo» a
partire dal gennaio 1866.
Romanzo d'azione e di
suspence Delitto e castigo dura soltanto quattordici giorni, con uno
svolgimento, sul piano dei fatti principali, estremamente lineare. Uno
studente, con grandi progetti e pochissimi soldi, uccide una vecchia usuraia e
la sua innocente sorella, ma non regge al tormento della coscienza e confessa
il delitto prima a Sònja, una giovanissima prostituta, e poi, spinto dalla
ragazza, al giudice istruttore Porfirij. L'epilogo ha luogo in Siberia, ai
lavori forzati, nove mesi dopo.