“... Poiché non ha senso
solo la vita attiva, nella quale l’uomo ha la possibilità di realizzare dei
valori in modo creativo, e non ha un senso solo la vita ricettiva, cioè una
vita che permette all’uomo di realizzare sperimentando la bellezza nel contatto
con arte e natura.
LA VITA CONSERVA TUTTO IL SUO SENSO,
ANCHE QUANDO SI SVOLGE IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO, QUANDO NON OFFRE QUASI PIU' NESSUNA PROSPETTIVA
DI REALIZZARE DEI VALORI, CREANDOLI O GODENDOLI, MA LASCIA SOLAMENTE UN’ULTIMA
POSSIBILITÀ DI COMPORTAMENTO MORALMENTE VALIDO.
La vita creativa e quella
ricettiva ci sono da tempo negate. Ma non solo la vita creativa e quella
ricettiva hanno un senso: se la vita ha un significato in sé, allora deve
avere un significato anche la sofferenza perché la sofferenza, in
qualche modo, fa parte della vita - proprio come il destino e la morte. Solo
con miseria e morte, l’esistenza umana è completa.
Dal modo in
cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la
sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la
sofferenza come la “sua croce” sorgono infinite possibilità di attribuire un
significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di
esistenza.
A seconda se uno resta
coraggioso e forte, dignitoso e altruista, o se dimentica di essere un uomo
nella spietata lotta per sopravvivere, e diventa in tutto e per tutto l’animale
di un gregge, a seconda di ciò che accade dentro di lui, l’uomo realizza o
perde i possibili valori morali che la sua dolorosa situazione e il suo duro
destino gli consentono e, a seconda dei casi, l’uomo è, come afferma
Dostojewski: “degno o no del suo tormento”.
(Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, ed. Ares ..... preso da qui )
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