martedì 20 dicembre 2016

Il nemico - Michael O’Brien (estratto)


Estraggo un dialogo lancinante, ma vero: solo nel nostro nulla, Dio può iniziare ad agire.

“Elia si alzò e mangiò e bevve.
- Perché mi hai abbandonato? – disse con voce roca.
- Non ti ho abbandonato –
- Ero solo –
- Non eri solo –
- Avevo paura –
- Avevi grande paura, dove non c’è paura –
- Perché non mi hai protetto? –
- Il luogo più buio è quello in cui ti darò più luce-
- Avresti potuto fermarlo –
- Se lo avessi fermato, non ci sarebbe stato raccolto –
- Non capisco nulla –
- E’ vero. Non capisci nulla –
- Sei il Signore? –
- Sono un servo come te –
- Chi sei? –
- Chi è come Dio? Nessuno è come Dio! –
- Chi sei? –
- Chi è come Dio? Nessuno è come Dio!- questo è il mio nome –
- Sono sfinito. Lasciami qui. Voglio morire –
- Sei esausto. Tanto tempo fa hai accettato questo incarico e questo fardello. Hai dimenticato? –
- Non ricordo –
- La tua anima ricorda. Nella tua anima c’è il segno del tuo patto –
- Non so nulla –
- Non sai nulla, ma hai obbedito –
- Voglio morire –
- Ora possiamo iniziare –”


mercoledì 14 dicembre 2016

Aleksandr Isaevič Solženicyn

Più di mezzo secolo fa, quando ancora ero un bambino, ricordo che un certo numero di anziani offriva questa spiegazione per i disastri che avevano devastato la Russia: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto". Da quel giorno, ho passato 50 anni a lavorare sulla storia della nostra rivoluzione (la rivoluzione russa); ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali. Ma se mi fosse domandato di formulare in maniera più concisa possibile la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi, non potrei metterla in maniera più accurata che ripetendo: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto."
 
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La semplice libertà non risolve tutti i problemi della vita umana e anzi ne aggiunge un gran numero di nuovi.
Nelle democrazie giovani, come nella democrazia americana al momento della sua nascita, tutti i diritti umani individuali sono stati concessi considerando che l'uomo è creatura di Dio.
La libertà era per l'individuo data in modo condizionato al presupposto della sua responsabilità religiosa costante.
Questo era il patrimonio dei mille anni precedenti.
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Se, come sostiene l’umanesimo, l’uomo è nato solo per essere felice, egli non é nato per morire. Poiché il suo corpo è condannata a morte, il suo compito sulla terra evidentemente deve essere più spirituale: non una totale accaparramento di beni nella vita quotidiana, non la ricerca di modi migliori per ottenere beni materiali e quindi non la spensieratezza con il loro consumo. La vita deve invece essere il compimento di una riflessione costante e seria in modo che il nostro viaggio nel tempo possa essere soprattutto un'esperienza di crescita morale, per diventare esseri umani migliori. Questo é indispensabile per rivalutare la scala dei valori umani normali; la loro attuale assenza è sbalorditiva
 
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Gli unici sostituti di una esperienza che non abbiamo mai vissuto in prima persona sono l’arte e la letteratura

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martedì 13 dicembre 2016

Umiliazioni e umiltà - Isacco il Siro


Quando la Grazia ha confermato l’intelligenza dell’uomo attraverso la fiducia in Dio, allora, da quel momento, comincia ad introdurla, a poco a poco, nelle tentazioni e lascia che le siano inviate quelle tentazioni il cui grado di difficoltà essa è in grado di sopportare.

E in ogni tentazione essa riceve, sensibilmente, l’aiuto necessario perché sia consolata; affinchè, a poco a poco, si eserciti, acquisisca la sapienza (esperienza di una relazione) e disprezzi i suoi nemici per mezzo della fiducia in Dio.

Infatti, senza di esse, l’uomo non può diventare esperto nelle battaglie spirituali, né conoscere la provvidenza di Dio, né sperimentare il suo Dio, né essere segretamente confermato nella sua fede da quella potenza che in se stesso riceve tramite la tentazione.

Quando, infatti, vede che in lui incomincia a muoversi un po’ il pensiero della presunzione ed incomincia a pensare grandi cose di sé stesso, la Grazia lascia che le tentazioni si rinforzino e si irrobustiscano contro di lui, perché egli conosca la sua debolezza e fugga e si rifugi in Dio, nell’umiltà.

Attraverso ciò egli giunge alla misura dell’uomo perfetto, nella fede e nella speranza nel Figlio di Dio; e presso di lui egli è innalzato nell’amore.

Infatti, in modo mirabile, quando l’uomo si trova in mezzo a quelle circostanze piene di disperazione, allora in lui di fa conoscere l’aiuto di Dio. E allora Dio mostra la sua potenza attraverso la salvezza dalle tentazioni.

Nessuno impara nella pienezza la potenza di dio nel riposo e nel sollievo.

L’anima che un tempo, nella fede, ha consegnato il suo essere a Dio e, in mezzo a molte tentazioni, ha ricevuto il gusto del suo aiuto, non pensa più a sé stessa, ma è stretta nel silenzio e nello stupore.

Sono le situazioni della vita che mettono l’uomo, affetto dalla philautia, di fronte alla propria debolezza, all’umiliazione, all’impotenza. Tutto questo, però, non è considerato solo dal lato negativo, ma come un’occasione di grazia, un luogo di salvezza da cui si può finalmente passare dall’umiliazione all’umiltà.

Ed è lo stupore dell’essere avvolti dal mistero di Dio che permette di abbattere le ultime resistenze interiori, che prendono come scusa l’esistenza dei peccati per non consegnarsi completamente a Dio. Tra la coscienza, che come cattiva padrona, esercita la sua attività di rimorso dei peccati, e il mistero di Dio accogliente, prevale quest’ultimo, perché Dio è più grande del nostro cuore.

Come le onde del mare si abbatte sul mio pensiero il diluvio dei misteri del Cristo; e io, mio Signore, ho voluto tacere di essi e non parlare. Ma erano nel mio cuore come fuoco che arde e s’infiamma nelle mie ossa. La mia intelligenza mi rimprovera e mi mostra i miei peccati; ma il tuo mistero mi stupisce, mi costringe a guardarlo e nel silenzio mi fa segno, dicendo: Non esitare ad avvicinarti per timore dei tuoi peccati, o peccatore, perché è per mezzo di questa meditazione che è scacciato dal tuo pensiero il fango del tuo peccato.

Acconsentire a questa dolorosa pedagogia di Dio è dunque necessariamente accettare di andare nello stesso senso, cioè non fuggire davanti all’umiliazione inflitta dalla tentazione, ma – in un certo senso – abbracciarla. Gli autori antichi insistono su questa ricerca della grazia fino a questo punto, perché è nell’umiliazione accettata e spiritualmente “assimilata” che la salvezza ci attende.

Ma non solo la tentazione è luogo di umiltà, anche il peccato può diventare “passaggio” di salvezza: può darsi, infatti, che la tentazione più infida non sia quella che precede il peccato, ma quella che lo segue. La tentazione della disperazione. E’ l’umiltà finalmente imparata che permetterà, ancora una volta, di sfuggire a questa tentazione.

(estratto dal libro :" Chi è l'uomo, Signore? Viaggio alla scoperta del cuore" di Carmelo Torcivia
pagg. 110/113)

martedì 6 dicembre 2016

Maurizio Blondet, a un passo dalla morte


…. Per intanto io sono ancora qui, e in un particolare stato d'animo. Dalla diagnosi all'operazione e al seguito patologico, devo una delle più importanti esperienze umane e spirituali, e ringrazio ogni giorno il Signore di avermela donata.

L'esperienza della morte prossima.

Prima, da sano, dubitavo di come avrei affrontato la morte: con disperazione, scoramento, viltà? Questo dubbio dava un brutto colore anche alla vita - tutte le cose belle, le si dovrà lasciare - e soprattutto, la silenziosa protesta contro questo destino umano, ahimè consapevole dalla sua brevità. Invidiavo gli animali che, almeno, non sanno.

Ero cristiano di forma, ma con questa protesta tacita: se siamo messi qui come prova, per soffrire, per portare la croce - perché ci giochiamo una vera vita di cui non sappiamo nulla, se non che comporta il pericolo estremo ed eterno della dannazione - che senso ha? Non è crudeltà pura? Mi astenevo dall'arrivare a questa conclusione: Dio sa.

Ma ciò copriva di una cenere di accidia, di una triste indolenza uno come me - che si avvicina ai settanta, alla fine inevitabile. Invece, nella malattia incurabile, nei ricoveri e nelle chirurgie, ho scoperto che «ce la posso fare», che quando arriva la croce e la sofferenza, «ci si riesce»: non per merito personale, ma per l'aiuto di Cristo che «fa tutto Lui».

Anche per un peccatore incallito, in quei momenti è lì, con la Misericordia che non viene meno Lui che ha già vinto, che ha superato il passaggio da cui tutti dobbiamo passare, «fa tutto». Basta aggrapparsi stretti a Lui, stringersi al suo Cuore raggiante, ed Egli opera in noi.

Siatene certi e allegri, accadrà anche a voi, cari lettori.

Con Cristo, non c'è sconfitta, non si perde mai - se non si vuole.

Il grande progetto di salvazione che consiste nel far passare la nostra animalità, i nostri corpi, nella Vita, richiede la negazione dell'istinto di sopravvivenza biologico - «Non c'è amore più grande di chi dà la propria vita per gli amici», «Pregate per coloro che vi perseguitano», «perdonate», sembrano cose impossibili - e lo sono: ma con Cristo e aggrappati al suo cuore, «si può».

Di quei giorni ricordo l'intensità della preghiera. I Rosarii sgranati deambulando nei vasti corridoi dell'ospedale, che riempivano le giornate vuote e sgorgavano con facilità.

Al sesto piano dov'ero, guardavo giù nel vasto spazio verde attorno all'ospedale. Era primavera. Degli operai stavano peparando una pista per elicotteri con la H in centro. Ma di lato, c'era un boschetto - tre o quattro alberi - che giorno dopo giorno vidi riempirsi di foglioline, di un tenero verde. Quella chioma leggera e trasparente vibrava e fremeva nel vento, la natura sempre ritornante e sempre innocente, incontaminata, in quell'angolo di Milano. Non pensavo più: ecco una cosa bella che dovrò lasciare. Ringraziavo invece per ogni foglia e ogni fremito, contento di vedere un'altra volta il «bel colpo magistrale del Creatore», certo che la Vita che ci attende se vogliamo è ancor meglio, infinitamente meglio - una Vita che è Gloria, che è Vittoria, e dove non ci mancherà nulla di quello che qui è bello.

Le esperienze umane della comune sofferenza nello stanzone ospedaliero, la semplicità e verità dei ricoverati, le loro sofferenze e i racconti delle loro sofferenze, è stata un'altra scoperta. Nella sala d'aspetto c'erano ovviamente i soliti settimanali femminili, con modelle in copertina: non riuscivo più a guardarle tanto mi sembravano false, e tanto veri invece i corpi imbruttiti, piegati, feriti dei miei compagni malati, il cui fiato s'interrompeva spesso di notte - finchè una macchina non gli forzava l'aria in gola. Vorrei aver mantenuto questo stato d'animo: l'occhio capace di vedere la verità.

Invece, col miglioramento, la zoologia riprende il sopravvento. Tornano a sembrarmi vere le modelle da copertina, e malinconico il destino della croce. Salto i Rosarii, la preghiera non sgorga più, né l'amore per il vicino.

Ma soprattutto: ero pronto a morire, o almeno così mi pare.

Perché Gesù mi ha lasciato qui ancora: devo far meglio? Non ero ancora pronto? Mi sento un po' come uno che vive in libertà condizionale, in attesa del processo d'appello. O il condannato di un carcere americano che ha avuto una sospensione della pena capitale. Come dare significato a questo tempo «en sursis», come dicono i francesi? Per un anno intero il mio vero «lavoro» è stato quello di curarmi. La flebo quotidiana ha condizionato ogni giorno della mia vita, come i pasti vegetali, i medicinali da prendere ad ore fisse. Anche la mente e il cuore erano assorbiti e impegnati. Adesso, d'accordo col mio medico ascorbico, interromperò almeno per l'estate. Sono libero. Ma per quanto? E soprattutto, perché? Scopro che questo atteggiamento è comune frai sopravvissuti. Il National Cancer Institute ha postato anche un opuscolo che dà consigli ai «survivors» su come «tornare in sintonia con se stessi». Ricorda che il cancro, secondo molti che ne sono stati colpiti, è stata «un'opportunità di crescita, un'esperienza che li ha portati a fare cambiamenti importanti nella loro vita. Molti oggi sanno apprezzare ogni nuovo giorno.». (Facing Forward: Life After Cancer Treatment)

Aleksandr Solgenitsin fu sbattuto fuori dal Gulag perché malato terminale di cancro gastrico: «Vai a morire a casa». Lo stesso giorno, in treno, udì la notizia che Stalin era morto. Tornato a casa, cancro e dolori erano scomparsi. Egli ha sempre pensato che Dio gli aveva regalato quegli anni di vita per adempiere ad un compito, rivelare l'innominabile segreto del regime, l'Arcipelago Gulag, la dantesca bolgia piena di anime sofferenti incontrate, e di tutte narrare la storia - per quanto la prodigiosa memoria gli consentiva. Ma Solgenitsin è stato un titano, pari al compito titanico. Io non trovo, confesso, un compito. Continuare questo, scrivere? Non sono sicuro che sia quello che mi viene richiesto ora. Non ho più molto interesse per ciò che prima mi infiammava alla polemica. Che mi resta da fare, Gesù? 
tratto da:
Pena sospesa - Effedieffe