L'ascolto di Dio, da parte del cristiano, significa
in concreto l'ascolto della Parola contenuta nella Bibbia.
Il contatto con questa Parola scritta porta,
infatti, a una ricchezza di vita inaspettata.
A me, che leggo la Scrittura da circa
cinquant'anni, essa appare ogni volta così nuova da destarmi stupore e da
creare quello shock dell'intelligenza e
dell'emozione che suscita il senso
dei valori umani e che mette a contatto con i valori stessi di Dio.
Assai opportunamente il Concilio Vaticano II, nella
Costituzione dogmatica Dei Verbum, ha trattato a lungo di questo tema e
sintetizzo il suo insegnamento in quattro punti:
- tutti i fedeli devono avere accesso diretto alla
Scrittura;
- devono leggerla frequentemente e volentieri;
- devono imparare a pregare a partire dalla lettura
diretta della Bibbia;
- al fine di conoscere Cristo Gesù,
perché non lo si può conoscere al di fuori delle
Scritture, e di conoscerlo in maniera eminente.
Diceva san Girolamo, e la Costituzione conciliare
lo cita: «L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo».
Sono allora indispensabili dei mezzi concreti con
cui il cristiano riesca ad accostarsi ai testi della Scrittura, al Nuovo
Testamento in modo da confrontarli
realisticamente con la sua esistenza.
Tra questi mezzi o metodi concreti, suggerisco
quello patristico della lectio divina,
chiamata "divina" appunto perché consiste nella lettura e nell'
ascolto di un passo della Bibbia.
E' un atteggiamento dinamico, è lo sforzo di
cogliere, nel testo, i rilievi in modo che da "pianura" diventi un
"panorama di montagna" con alcune parti in luce e altre in ombra.
Sottolineando i verbi, i soggetti, gli oggetti i
vari elementi acquistano valore insospettato.
La lectio, nel quadro in cui noi la consideriamo, non
è fine a se stessa ma si apre alla meditatio: va dunque fatta ogni volta
per quel tanto che serve a passare oltre. Non così poco che la meditatio sia
sterile e non così tanto da impedirne il dinamismo.
- La meditatio è la riflessione sui valori del testo, soprattutto sui valori permanenti.
È un secondo modo di accostare il brano: non più
per considerazione analitica dei soggetti, degli oggetti, dei simboli, dei movimenti
interni ed esterni, ma dei valori che il testo veicola e porta con sé.
La meditatio va fatta con la mente e anche con
l'affetto perché spesso i valori sono ricchi di risonanze, di sentimenti.
Comporta il superamento della quantità verso la qualità, il superamento delle
forme esteriori, delle, figure geometriche e sintattiche verso i loro
contenuti, ed è quindi un passaggio importante.
Quali valori esprime Gesù con questo modo di
essere?
Quali valori esprime Paolo e come posso fare per
farli miei?
Il mondo della meditatio è molto vario perché
l'uomo si confronta dall'interno con la Parola e ne fa modello, proposta,
regola di vita.
C'è tuttavia un rischio ed è quello di prolungare
la meditatio all'infinito, compiacendosi di aver capito i valori del testo, di
averli ordinati e collegati con la propria vita. Il rischio è di credere di
vivere quei valori semplicemente perché si è riusciti a coglierli bene,
bloccando così il processo dinamico della preghiera e cadendo
nell'autocompiacimento che, in realtà, è l'opposto della religiosità
evangelica, pur se si nutre di parole del vangelo.
La meditatio è dunque un grandissimo valore da
imparare, e magari ci si mette anni per impararla, però deve essere superata,
a un certo punto, verso la contemplatio. La meditatio può essere fatta,
in qualche maniera, anche da un non credente che si compiace dei valori
profondi espressi dalla Scrittura.
- Con la
contemplatio entriamo nella specifica preghiera cristiana che è "in
spirito e verità".
E' il passaggio dalla considerazione dei valori all'adorazione della persona di Gesù
che riassume tutti i valori, li sintetizza, li esprime in sé e li rivela. E' un
momento orante per eccellenza in cui vengono dimenticate proprio le stesse cose
che sono state molto utili per stimolare la coscienza. Si adora e si ama Gesù, ci si offre a lui, si chiede perdono, si
loda la grandezza di Dio, si intercede per la propria povertà o per il mondo,
per la gente, per la Chiesa.
Il centro e il riferimento della contemplatio è
sempre la persona di Gesù, rivelatore del Padre.
Dal punto di vista più propriamente ontologico o di
antropologia soprannaturale, la contemplatio è la disponibilità al dono infuso
della carità. L'uomo cioè è nella situazione ideale per accogliere,
coscientemente o almeno con piena disponibilità, il dono infuso dì carità, a
lasciare vibrare in sé lo Spirito di santità.
La contemplatio è, dunque, in parte esercizio
attivo, adorante, amante e in parte esercizio passivo, spazio dato allo Spirito
di Cristo perché in noi adori, lodi, glorifichi il Padre.
Il dono infuso di
carità è germinalmente presente, come sappiamo, in ogni battezzato. Molto
spesso però non ha spazio espressivo, uno spazio cioè corporeo, mentale,
strutturale: la contemplatio è esattamente il
momento in cui si dà spazio corporeo allo Spirito santo.
Per questo
possiamo anche chiamarla "conversione" dell'uomo che si rivolge
totalmente a Dio, che lo sceglie costantemente, attratto da lui, che lo ama con
tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze elevate
soprannaturalmente dallo Spirito.
È veramente il punto culminante delle varie
tappe del dinamismo della preghiera ed è la norma, il riferimento delle tappe
precedenti.
In tanto la lectio è utile, la meditatio è
importante, in quanto sfociano nella contemplatio che è vita in senso pieno: è
la vita di Cristo che vive in colui che contempla.
Da aggiungere, a questo punto del dinamismo della
preghiera, ci sarebbe solo l'esperienza infusa mistica, la percezione cioè
cosciente dell'agire di Dio: l'unione con Dio a livelli mistici non è però
necessariamente parte dell'organismo ordinario della vita cristiana.
- Consolatio.
Noi facciamo fatica a determinare questo vocabolo mentre è realtà notissima al
Nuovo Testamento. Paolo ne fa un uso molto grande, sia come verbo - parakaléo -
sia come sostantivo - paraklesis - e addirittura lo prevede come un ministero:
«Chi ha il ministero della consolazione - parakalon - attenda alla consolazione
- paraklései -» (cfr. Romani 12,8).
Consolazione è un appellativo di Dio, il Dio della
pazienza e della consolazione (cfr. Romani 15,4; 2Corinzi 1,3) e il Nuovo
Testamento la considera come realtà fondante l'esperienza cristiana.
A noi sembra un sostegno aggiuntivo: il bisogno di
essere consolati ci appare quasi un segno di debolezza, e questo è abbastanza
strano se pensiamo che lo Spirito santo è qualificato come il Paraclito, il
Consolatore.
Che cosa possiamo dunque
intendere per "consolatio" come sviluppo ordinario della
contemplatio? Possiamo intendere la gioia profonda, intima che viene
dall'unione con Dio, il riverbero luminoso, gaudioso della comunione con Lui.
Pensiamo alla gioia che vediamo trasparire dagli
occhi di persone particolarmente sante, quel non so che di pace, di serenità,
di tranquillità anche nella sofferenza. E il gusto del culto di Dio, il
rapporto con Dio vissuto con gaudio.
L'uomo giunto alla contemplazione sa che nessuna
forza umana gli potrà strappare quella pace che è dono di Dio. Paolo esprime
questa certezza gaudiosa quando esclama: «Chi ci separerà dall' amore di
Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità,
il pericolo, la spada?... lo sono persuaso che né morte né vita, né,. angeli né
principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né
alcun'altra creatura potrà mai separarci dall' amore di Dio, in Cristo Gesù,
nostro Signore!» (Romani 8,35.38-39).
La consolazione è la forza che sentiamo uscire, a
distanza di duemila anni, dalle parole di Paolo.
Ha molti altri nomi la consolatio: in certi periodi
della storia della spiritualità è stata chiamata "fervore" oppure
"devozione" (san Francesco di Sales), cioè prontezza gaudiosa e
spontanea con cui l'uomo si dona a Dio. Da san Giovanni Eudes è stata chiamata "il
regno di Gesù": la vita è il regno di Gesù che si sviluppa in noi. Non dobbiamo perciò trascurare la consolatio.
A volte, una certa cultura pseudo-spirituale ci fa
credere che ciò che conta è fare il proprio dovere, essere leali e giusti. Ma
l'uomo leale e giusto non può non esprimere quella pienezza di sé che è la
forza e l'entusiasmo della gioia interiore!
Certo, si tratta di gioia spirituale nascosta nel
profondo.
Se spesso è velata e oscurata dalle prove, dall'
aridità, dalle desolazioni, dalle tentazioni, dalla croce, tuttavia non a
questo l'uomo è chiamato.
Lo stadio a cui è chiamato è la luminosità di
Cristo risorto e la consolazione è luminosità del Cristo risorto diffusa
nell'esperienza. Non è fenomeno accessorio, pur se va distinta dai puri stati
di entusiasmo naturale.
- Discretio
o discernimento. La consolatio pone l'uomo in sintonia mirabile con i
valori evangelici. E’ gusto interiore per Cristo, per l'essere con lui, per la
sua povertà, per coloro che sono simili a Gesù nella sofferenza, per la sequela
generosa della croce insieme a lui. Le grandi scelte di Cristo, il suo
abbandono al Padre, il suo distacco, la sua dedizione all'uomo diventano valori
connaturali nel momento della consolatio.
Il
discernimento è la capacità di scegliere, per interiore connaturalità, secondo
e come Cristo.
La sua relazione con la meditatio è molto stretta
perché la meditatio fa emergere i valori di Gesù e la discretio li fa
scegliere. Francesco d'Assisi incontra il lebbroso, vede in lui Cristo e,
nell'impulso dello Spirito, lo bacia pieno di gioia, superando una fortissima
ripugnanza naturale: è la discretio che gli ha fatto fare la stessa scelta di
Gesù.
Prima di concludere, desidero ribadire l'importanza
della contemplazione senza la quale tutto diventa insipido, diventa esecuzione
faticosa di precetti, volontarismo, moralismo.
La mancanza di contemplazione ci impedisce di
cogliere globalmente i vari aspetti dell' esperienza cristiana e di vivere
realmente il "vieni e seguimi" di Gesù. Nella contemplazione l'uomo raggiunge il massimo di chiarezza e di forza, in essa il progetto-uomo si verifica e si va verificando progressivamente, a mano a mano che si integra nelle azioni, nella cultura, nella espressione esteriore della persona.
Il passaggio dalla meditazione alla contemplazione è dunque un momento vitale e determinante dell' esperienza cristiana.
Spesso la nostra esperienza cristiana è, al
massimo, a livello meditativo, di riflessione, di bei pensieri ma ancora oscura
su molti valori del dono di Dio fatto all'uomo.
Tale è l'esperienza degli apostoli nel vangelo di
Marco che vedono e non capiscono, che hanno occhi e non comprendono.
Per questo ci si ritrova incerti, alle prese con
continui ripensamenti e con desideri di evasione: perché non si ha come
riferimento la contemplazione.
Le domande che possiamo porci, allora, devono
essere su come pratichiamo la lectio e la meditatio, ma soprattutto se ci
apriamo alla contemplazione, se la consideriamo fondamentale per il nostro cammino
di fede.
Io credo che tutti noi abbiamo avuto dei momenti di
vera contemplazione, nei quali abbiamo potuto discernere anche la consolazione
di Dio.
L'invito è a riflettere su tali momenti e a
valorizzarli giustamente, secondo i desideri del Signore.
Osservazioni
importanti sulla "lectio divina"
Nell'accostarsi alla Bibbia mediante il metodo
della lectio divina bisogna evitare il rischio di uno straripamento della
lectio al di fuori dell' alveo della tradizione e della Chiesa.
Capita infatti spesso che la Scrittura venga usata
non semplicemente in funzione critica dei nostri idoli, ma pure in funzione di
critica delle istituzioni, di una critica globale e priva di discernimento.
Un altro rischio è di asservire il testo sacro a
ideologie preesistenti (politiche, sociali, filosofiche), usandolo come prova o
appoggio.
In questi casi la lettura della Bibbia tende a
uscire dal contesto vitale in cui è nata e si è trasmessa.
E, ancora, si rischia di intendere sotto il nome di
lectio una qualunque lettura della Bibbia, che sia in qualche modo unita con la
preghiera.
Non di rado si tende inoltre a fare della
"teologia biblica" trattando temi dell'uno e dell' altro Testamento,
o si cercano attualizzazioni a partire da un brano scelto a caso o presente nella
liturgia. Tutto ciò fa parte della lectio, ma non la definisce nella sua
caratteristica più profonda.
Mi sembra quindi utile richiamare alcune parole
del padre gesuita Francesco Rossi de Gasperis, in uno stimolante studio (Bibbia
ed esercizi spirituali, Torino 1982, 33): «Lectio
divina è la lettura continua» - preferisco dire "tendenzialmente"
continua - «di tutte le Scritture, in
cui ogni libro e ogni sua sezione viene successivamente letta, studiata e
meditata, compresa e gustata mediante il contesto di tutta la rivelazione
biblica, Antico e Nuovo Testamento. Per questa sua semplice adesione e
umile rispetto dell'intero testo biblico, la lectio divina è una prassi di
obbedienza totale e incondizionata a Dio che parla, dove l'uomo diventa un attento uditore della Parola (...).
La lectio divina non fa una scelta di testi adatti
a temi e argomenti già scelti e decisi in precedenza, in vista di bisogni o
gusti già sperimentati o avvertiti dal lettore o dalla comunità che legge.
Essa non adotta nemmeno il procedimento dei
"temi biblici" preferendo invece tenersi al di qua di ogni selezione
teologica del messaggio biblico.
Essa
comincia dalla Parola di Dio e la segue passo passo dal principio alla
fine.
La lectio divina suppone e prende sul serio l'unità
di tutte le Scritture».
Se dunque la lectio divina viene vissuta nel suo
dinamismo che, partendo dalle prime tre tappe - lectio, meditatio, contemplatio
- si amplia e si apre alla consolatio, discretio, deliberatio e actio, può
costituire un formidabile aiuto di fronte all' attuale sfida del mondo
occidentale. Un mondo in cui il mistero di Dio è quasi assente nei segni
esteriori della vita e della società, un mondo interiormente arido, che soffoca
la coscienza e non fa avvertire nell' esperienza quotidiana il gusto del Dio
vero.
Soltanto se alimentiamo la nostra fede in un
contatto con la Parola, potremo passare indenni attraverso il deserto
spirituale dell'Europa moderna.
(preso qui)
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